Martiri, amici miei, dovete scegliere fra essere dimenticati, scherniti o ridotti a strumenti. Quanto a essere capiti: questo mai.
Ho riproposto questa considerazione, un po' ironica e un po' amara, dello scrittore francese Albert Camus (1913-1960) tratta dal romanzo La caduta, in occasione dell’incontro delle Accademie Pontificie, dedicato a Testimonianze e Testimoni.
È, infatti, vero che il buon senso, l'attaccamento alla vita, l'innata tendenza al compromesso fanno sì che i testimoni, pronti a dare la vita per un ideale o una persona, risultino sostanzialmente incompresi e incomprensibili.
Peggio ancora – e questo accade ai testimoni-martiri (si tratta della stessa parola) cronologicamente più vicini a noi – quando il loro gesto viene frainteso e strumentalizzato da correnti o da interessi che nulla o poco hanno da spartire col loro messaggio e la loro azione.
È, allora, necessario riportare il martire al cuore del suo stesso esistere e agire: se è un testimone autentico e non un fanatico, egli è per noi un segno di amore e di fedeltà, di donazione e di coerenza, di libertà e di totalità, non tanto un esempio di eroismo e di coraggio fine a se stesso.
Nel messaggio rivoltomi dal Papa per l’occasione si legge: “Se osserviamo con attenzione l’esempio dei martiri, dell’antichità cristiana come anche dei nostri tempi, ci accorgiamo che sono persone profondamente libere, libere da compromessi e da legami egoistici, consapevoli dell’importanza e della bellezza della loro vita, e proprio per questo capaci di amare Dio e i fratelli in maniera eroica, tracciando la misura alta della santità cristiana. I campioni della fede, lungi dal rappresentare un modello conflittuale col mondo e con le realtà umane, annunciano e testimoniano, al contrario, l’amore ricco di misericordia e di condiscendenza di Dio”.